NOTIZIE DALLA CHIESA PERSEGUITATA 17 dicembre 2009
Pakistan: in carcere per capriccio
La
situazione interna del Pakistan è drammatica. La battaglia degli estremisti
islamici per distruggere ogni speranza di democrazia nella regione continua
senza sosta e a pagarne le conseguenze sono i civili, in particolar modo i
cristiani, facile bersaglio della violenza dei fondamentalisti (leggi anche
Pakistan: guerriglia totale).
Le incursioni degli americani, in quella che viene definita dai media la
guerra segreta di Obama, puntano a tagliare la testa ad Al Qaeda, che
considera da sempre certe zone del Pakistan e dell’Afghanistan il miglior posto
dove trovare asilo e preparare nuovi attentati. E’ notizia di qualche giorno fa,
l’uccisione di un altro leader di Al Qaeda per mezzo di un drone americano (gli
aerei senza pilota) nel Sud Waziristan, una regione di confine dove, per
l’appunto, talebani e qaedisti hanno i loro rifugi.
Nel mezzo di questa follia, i cristiani in Pakistan cercano comunque di vivere
la loro vita in pace, ma è sempre più difficile, mentre in certe zone sta
diventando addirittura impossibile. Per un capriccio di un vicino musulmano
possono finire in prigione o rischiare di essere linciati da gruppi di
fondamentalisti inferociti. Oggi vi riportiamo un caso tipico, che accade spesso
in questa difficile terra. Un cristiano del distretto di Faisalabad e sua figlia
di 20 anni sono stati rilasciati un paio di giorni fa dopo ben 14
lunghissimi mesi di prigione, accusati di profanare il Corano. Khalil
Tahir, l’avvocato di Gulsher Masih e di sua figlia Ashyana Gulsher,
sostiene con forza che il loro è il tipico caso di utilizzo della
famigerata legge sulla blasfemia per colpire e perseguitare i cristiani
pakistani. “I cristiani sono un bersaglio facile e la maggior parte
delle persone accusate di questi reati sono proprio cristiani innocenti”, ha
dichiarato l’avvocato Tahir.
Gulsher Masih ha detto di essere stato brutalmente picchiato 5 volte mentre era
in prigione: questo ci ricorda che la prigionia e la perdita della libertà
non sono le uniche pene inflitte. All’interno del carcere ha subito
continue pressioni per tornare all’Islam, anche attraverso offerte di denaro o
di espatrio; anche la figlia è stata picchiata varie volte direttamente dalla
polizia penitenziaria, mentre la moglie e il resto della famiglia era impotente
di fronte a queste continue ingiustizie.
Eccovi un sunto dei fatti.
Nell’ottobre del 2008, la figlia di Masih nota nei bidoni della spazzatura molte
pagine del Corano strappate e gettate via. Le raccoglie e, conoscendo la
devozione per il loro libro sacro, decide di avvertire i vicini musulmani
dell’accaduto e, sistemate le pagine, gliele consegna. Poco tempo dopo, la madre
si rivolge a questi vicini per farsi restituire del grano che aveva loro
prestato e uno in particolare le risponde che lei aveva osato bruciare le pagine
del Corano e, addirittura, che i suoi figli giocavano a fare gli aeroplani di
carta con il loro libro sacro. Per fortuna la normale escalation di violenza che
scatta non appena un musulmano (come in questo caso, per il capriccio di non
restituire un prestito ricevuto) accusa un cristiano di blasfemia è stata subito
sedata da altri vicini musulmani, che hanno testimoniato in favore della
famiglia cristiana, cosa che ha fatto anche il leader musulmano locale Amam
Hafiz Muhammad Ali, definendo il comportamento della figlia - nel restituire
quelle pagine trovate strappate - un bel gesto di rispetto religioso
Purtroppo,
però, la faccenda non si è chiusa così. Muhammad Qasim, un giovane supportato da
un grosso proprietario terriero musulmano, ha girato tutto il villaggio
accusando i cristiani di aver bruciato il Corano: l’escalation è stata rapida,
in breve dalle moschee hanno dato l’annuncio con i megafoni che i cristiani
aveva profanato il Corano. A quel punto, Masih ha avvisato la polizia per
cercare protezione, ma le forze dell’ordine lo hanno arrestato e sbattuto in una
cella della stazione di polizia di Jhumra, teoricamente per proteggerlo dalla
folla che si stava radunando, pronta a linciare lui e la sua famiglia. Alcuni
musulmani si sono presentati alla stazione di polizia per accusare ufficialmente
Masih di aver strappato e bruciato lui stesso le pagine del Corano; altri hanno
detto che era stata la figlia; altri ancora hanno dichiarato che sono stati gli
altri figli e la moglie: ogni dichiarazione contraddiceva di fatto l’altra. Il
caso è finito in tribunale, ma, come accade sempre, gli insensati rinvii della
corte hanno giocato un ruolo essenziale per trattenere per mesi e mesi in
carcere padre e figlia. Quando finalmente l’avvocato ha avuto
l’opportunità di parlare di fronte a un giudice del caso, l’intera impalcatura
dell’accusa è crollata per assoluta mancanza e falsificazione di prove.
Da qui il rilascio dei due cristiani, dopo 14 mesi di carcere, vari pestaggi,
intimidazioni, la perdita di denaro e lavoro: in Pakistan la persecuzione contro
i cristiani usa svariati metodi, dai più subdoli ai più efferati.
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